La grande ipocrisia dei “bisogni indotti”

La grande ipocrisia dei “bisogni indotti”

La grande ipocrisia dei “bisogni indotti” 1242 823 Stefano Aggravi

L’odierna società del benessere ha senza ombra di dubbio modificato radicalmente l’ordine di importanza di molti bisogni dell’essere umano. Prodotti e servizi che una volta non esistevano proprio o erano considerati di lusso oggi sono finiti tra quelli necessari nel quotidiano di ognuno di noi.

Ma accanto al normale scorrere delle cose c’è dell’altro. Sì, una tecnica ruffiana di fare storytelling che trasforma prodotti, eventi o ogni altra cosa utile allo scopo in una necessità. Un bisogno indotto nel nome di più alti principi quali l’uguaglianza, la giustizia, etc.. Un vero e proprio processo di trasformazione che finisce poi per diventare una bandiera di parte, un simbolo tra tutti. Una tecnica, né più né meno similare a certe forme di marketing ossessivo che però in questo caso può finire addirittura per farti cambiare opinione sulle cose. Nel bene e, soprattutto, nel male.

Un modo di agire che, se ci guardiamo bene attorno, negli ultimi anni sta imperversando un po’ in tutti i campi. Una tecnica che genera nel prossimo più di uno scrupolo per la paura di finire tra quelli poi accusati di disconoscere gli alti principi tanto sventolati. Un’arma di cui sta facendo uso una precisa parte del mondo politico ed intellettuale i cui effetti potrebbero essere in futuro più che devastanti. Sono, infatti, sempre di più i casi di scontro e vera e propria persecuzione morale di chi non sta al gioco. Un gioco pericoloso che in più di una situazione si è poi rivoltato anche contro chi lo ha scatenato.

Mi chiedo dunque, a che pro tutto questo, quando i veri bisogni della comunità sono ben altri? Non è forse questo stesso modo di agire una segnale inequivocabile della decadenza della nostra società?